Aggiornato il modello di comunicazione delle c.d. “dimissioni di fatto”

Come noto, l’articolo 19 della legge n. 203/2024, ha modificato l’articolo 26 del decreto legislativo n. 151/2015, in materia di “Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale”. In particolare, ha introdotto il comma 7-bis, secondo cui: “In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”. 

Tale disposizione ha riconosciuto espressamente la possibilità che il rapporto di lavoro si concluda per effetto delle cosiddette “dimissioni per fatti concludenti (o dimissioni implicite)”, consentendo al datore di lavoro di ricondurre un effetto risolutivo al comportamento del lavoratore consistente in una assenza ingiustificata, prolungata per un certo periodo di tempo. 

 Il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 6/2025 ha precisato che tale effetto risolutivo non discende automaticamente dall’assenza ingiustificata, ma si verifica solo nel caso in cui il datore di lavoro decida di prenderne atto, valorizzando la presunta volontà dismissiva del rapporto da parte del lavoratore e facendone derivare la conseguenza prevista dalla norma. 

 Per quanto concerne la durata dell’assenza che può determinare la configurazione delle dimissioni per fatti concludenti, l’articolo 19 prevede che la stessa, in mancanza di specifica previsione nel CCNL applicato al rapporto di lavoro, debba essere superiore a quindici giorni. I giorni di assenza, in mancanza di ulteriori specificazioni da parte della norma, possono intendersi come giorni di calendario, ove non diversamente disposto dal CCNL applicato al rapporto di lavoro. Quello individuato dalla legge costituisce il termine legale minimo perché il datore – a partire, quindi, dal sedicesimo giorno di assenza – possa darne specifica comunicazione all’Ispettorato territoriale del lavoro. 

Sul punto, il Ministero ha precisato che la comunicazione all’Ispettorato può essere formalizzata anche in un momento successivo. La suddetta comunicazione opera anche quale dies a quo per il decorso del termine di cinque giorni previsto per effettuare la relativa comunicazione obbligatoria di cessazione del rapporto di lavoro tramite il modello UNILAV. Il Ministero del lavoro ha chiarito inoltre che, nel caso in cui il CCNL applicato preveda, invece, un termine diverso da quello contemplato dalla norma in esame, lo stesso troverà senz’altro applicazione ove sia superiore a quello legale, in ossequio al già richiamato principio generale per cui l’autonomia contrattuale può derogare solo in melius le disposizioni di legge. Se, viceversa, sia previsto un termine inferiore, per il medesimo principio, dovrà farsi riferimento al termine legale. 

 Il Ministero ha inoltre rappresentato che diversi contratti collettivi riconducono ad un’assenza ingiustificata protratta nel tempo – di durata variabile, anche inferiore ai quindici giorni previsti dall’articolo 19 in esame – conseguenze di tipo disciplinare, consentendo al datore di procedere al licenziamento, per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. In tali ipotesi, viene quindi attivata la procedura di garanzia prevista dall’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori. Al riguardo, il Ministero ha ritenuto che: “le previsioni contrattuali in materia debbano essere considerate un corpus unico per cui, laddove il datore intenda procedere ad una risoluzione del rapporto al verificarsi della condizione prevista dal contratto (l’assenza protratta per la durata determinata dallo stesso CCNL), dovrà seguire il percorso delineato dal CCNL – del tutto alternativo a quello previsto dall’articolo 19 in commento – e attivare dunque la procedura di cui all’articolo 7 della legge n. 300/1970. Resta ferma la facoltà dei CCNL di disciplinare espressamente la fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti, stabilendo un termine diverso – e più favorevole – da quello fissato dalla norma per ricondurre all’assenza ingiustificata l’effetto risolutivo del rapporto”.

In base all’articolo 19, il datore di lavoro – laddove intenda far valere l’assenza ingiustificata del lavoratore, protrattasi oltre i termini sopra riportati, ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni per fatti concludenti – deve comunicarla alla sede territoriale dell’Ispettorato, da individuare in base al luogo di svolgimento del rapporto di lavoro. La comunicazione dell’assenza ingiustificata è, dunque, uno specifico onere che l’ordinamento pone in capo al datore che intenda porre fine al rapporto di lavoro rilevando il ricorrere di questo particolare tipo di dimissioni. Sul punto, il Ministero del lavoro ha precisato che, in ogni caso, la procedura telematica di cessazione a seguito di dimissioni per fatti concludenti, avviata dal datore di lavoro, viene resa inefficace se lo stesso riceva successivamente la notifica da parte del sistema informatico del Ministero dell’avvenuta presentazione delle dimissioni da parte del lavoratore. 

Pertanto, anche la presentazione di dimissioni per giusta causa tramite il sistema telematico da parte del lavoratore – ferma restando la necessità di assolvere il relativo onere probatorio secondo le modalità descritte dalla circolare INPS n. 163/2003 – prevale sulla procedura di cessazione per fatti concludenti avviata dal datore di lavoro.

Per permettere all’Ispettorato di effettuare le verifiche circa la veridicità della comunicazione datoriale di assenza ingiustificata, il datore dovrà indicare tutti i contatti e i recapiti forniti dal lavoratore e trasmettere la comunicazione inviata all’Ispettorato territoriale, anche al lavoratore, per consentirgli di esercitare in via effettiva il diritto di difesa previsto dall’articolo 24 della Costituzione. 

La cessazione del rapporto avrà effetto dalla data riportata nel modulo UNILAV, che non potrà comunque essere antecedente alla data di comunicazione dell’assenza del lavoratore all’Ispettorato territoriale del lavoro, fermo restando che il datore di lavoro non è tenuto, per il periodo di assenza ingiustificata del lavoratore, al versamento della retribuzione e dei relativi contributi. 

Con riferimento alle conseguenze di tale cessazione, il Ministero ritiene che il datore possa trattenere dalle competenze di fine rapporto da corrispondere al lavoratore l’indennità di mancato preavviso contrattualmente stabilita. 

 La norma prevede espressamente che l’effetto risolutivo del rapporto potrà essere evitato laddove il lavoratore dimostri “l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”. Grava, pertanto, sul lavoratore l’onere di provare l’impossibilità di comunicare i motivi dell’assenza al datore di lavoro (ad esempio, perché ricoverato in ospedale o per causa di forza maggiore) o la circostanza di aver comunque provveduto alla comunicazione. Qualora il lavoratore dia effettivamente prova di non essere stato in grado di comunicare i motivi dell’assenza, così come nell’ipotesi in cui l’Ispettorato accerti autonomamente la non veridicità della comunicazione del datore di lavoro, non può trovare applicazione l’effetto risolutivo del rapporto di lavoro previsto dal nuovo comma 7-bis e la comunicazione di cessazione resterà priva di effetti.

Sul punto, il Ministero del lavoro segnala che il datore di lavoro – a seguito degli accertamenti ispettivi – potrebbe essere ritenuto responsabile, anche penalmente, per falsità delle comunicazioni rese all’Ispettorato territoriale. 

Da ultimo, il Dicastero ha chiarito che la disposizione in esame non è applicabile nei casi previsti dall’articolo 55 del decreto legislativo n. 151/2001, che prevede la convalida obbligatoria (con effetto sospensivo dell’efficacia) della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e delle dimissioni presentate da: 

  • lavoratrice durante il periodo di gravidanza; 
  • lavoratrice madre o il lavoratore padre durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle comunicazioni della proposta di incontro con il minore adottando ovvero della comunicazione dell’invito a recarsi all’estero per ricevere la proposta di abbinamento. Si tratta, infatti, di una normativa a carattere speciale, diretta a tutelare in modo più rigoroso le categorie di lavoratrici e lavoratori che si trovano in una situazione di maggiore vulnerabilità.

Segnaliamo infine che l’INL ha recentemente diramato, con la Nota n. 3984/2025, il modello aggiornato di dimissioni per fatti concludenti, alla luce delle considerazioni contenute nella predetta Circolare n. 6/2025 del Ministero del Lavoro.

Tale circolare, unitamente alla nota INL n. 3984/2025, al modello aggiornato di comunicazione delle dimissioni per fatti concludenti sono disponibili nell’area download del sito dell’Associazione “Dimissioni per fatti concludenti”.

Le Imprese non ancora registrate potranno contattare l’Associazione scrivendo a servizi@assedil.it.  

Il Servizio Lavoro, Previdenza e Sicurezza dell’Associazione (Avv. Luigi Masini) è a disposizione per ulteriori approfondimenti.

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